PFAS: la minaccia persistente nella filiera alimentare e le risposte dell’UE

Le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) rappresentano oggi una delle classi chimiche più discusse nell’ambito della sicurezza alimentare. Ampiamente utilizzate dagli anni ’50 in rivestimenti tecnici, emulsioni polimeriche, schiume antincendio e processi industriali ad alta temperatura, queste molecole sono diventate contaminanti globali per la loro straordinaria stabilità. La diffusione ambientale è legata soprattutto all’acqua: i PFAS migrano dai siti produttivi ai corpi idrici superficiali e sotterranei, raggiungendo poi il suolo, i sedimenti e, inevitabilmente, la filiera alimentare.

Il motivo della loro persistenza risiede nel legame carbonio-fluoro, con un’energia media di circa 480 kJ/mol. Tale legame è poco suscettibile a idrolisi, ossidazione e fotodegradazione, e rende molti PFAS praticamente non metabolizzabili dagli organismi viventi. I composti a catena lunga, come PFOS e PFOA, mostrano un’elevata affinità per le proteine plasmatiche e tempi di eliminazione lunghi, con emivite che possono superare i diversi mesi. Questo spiega perché l’esposizione umana dipenda fortemente dal bioaccumulo negli alimenti di origine animale, in particolare pesce, latte, uova e carni provenienti da aree contaminate.

L’ingresso dei PFAS nella filiera alimentare avviene principalmente attraverso l’acqua: acque potabili non trattate adeguatamente, pozzi aziendali, acque di irrigazione e sistemi di abbeveraggio sono i vettori che più facilmente determinano contaminazioni nelle produzioni primarie. Le colture irrigate in zone esposte e gli allevamenti che utilizzano acqua o mangimi contaminati sono oggi considerati punti critici da valutare nei sistemi HACCP. La distribuzione dei PFAS nell’organismo avviene attraverso il legame con l’albumina, con una cinetica che richiede modelli PBPK per valutare l’esposizione cumulativa, vista la lentezza dell’eliminazione.

Sul fronte normativo, l’Unione Europea ha definito un quadro molto più stringente negli ultimi anni. La Direttiva (UE) 2020/2184, recepita in Italia tramite il D.Lgs. 18/2023, introduce due limiti vincolanti per le acque destinate al consumo umano che diventeranno pienamente applicabili dal 2026: 0,10 µg/L per la somma di venti PFAS prioritari e 0,50 µg/L per il totale dei PFAS rilevabili. Questi valori sono oggi il riferimento per tutti gli operatori alimentari che utilizzano captazioni autonome o che operano in territori vulnerabili. 

Parallelamente, nel 2025 l’ECHA ha pubblicato la proposta di restrizione di gruppo per oltre 10.000 PFAS nell’ambito del regolamento REACH, basata sul principio che la sola persistenza ambientale rappresenta un rischio non accettabile. La proposta prevede limitazioni significative all’immissione sul mercato e periodi transitori differenziati per settore, con implicazioni dirette per i processi industriali che possono generare contaminazioni idriche o atmosferiche con rilevanza alimentare. L’approccio legislativo, in questo caso, passa dalla tradizionale valutazione tossicologica a una logica hazard-based, nella quale il criterio principale è la capacità della sostanza di restare nell’ambiente per tempi molto lunghi.

Le linee guida EFSA del 2023 contribuiscono a rafforzare questo quadro, avendo fissato una TWI estremamente bassa – 4,4 ng/kg p.c./settimana per la somma di quattro PFAS indicatori – che obbliga i responsabili qualità a rivalutare l’esposizione cumulativa nelle produzioni più sensibili. Di conseguenza, i sistemi di autocontrollo devono ormai integrare verifiche sistematiche sulle acque, soprattutto quando provengono da pozzi aziendali o reti locali non monitorate di routine.

La gestione del rischio PFAS non può più essere considerata un tema emergente: è ormai un rischio strutturale, da inserire stabilmente nei manuali HACCP e nei piani di campionamento ambientale e alimentare. Per i tecnologi alimentari e i responsabili qualità significa adottare un approccio più rigoroso, fondato su analisi periodiche, valutazioni documentate delle fonti idriche e controllo delle aree produttive con storicità di contaminazione. Il quadro normativo europeo ha ormai tracciato una direzione chiara: ridurre drasticamente la presenza dei PFAS lungo tutta la filiera, intervenendo sull’acqua, sui processi industriali e sulle produzioni primarie.

Fonti e approfondimenti

Normativa europea e italiana

  • Direttiva (UE) 2020/2184 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla qualità delle acque destinate al consumo umano.

  • Decreto Legislativo 23 febbraio 2023, n. 18 – Recepimento della Direttiva (UE) 2020/2184 in Italia.

  • Proposta di restrizione di gruppo sui PFAS (ECHA, 2025) – Comitato per la valutazione dei rischi (RAC) e Comitato per l’analisi socioeconomica (SEAC).

  • Regolamento REACH (CE) n. 1907/2006 – struttura normativa di riferimento per le restrizioni PFAS.

Linee guida e valutazioni scientifiche

  • EFSA (2023) – “Risk to human health related to the presence of perfluoroalkyl substances in food”.

  • EFSA Scientific Opinion: TWI 4.4 ng/kg p.c./settimana per PFOS, PFOA, PFNA, PFHxS.

  • JRC Technical Reports – PFAS in the environment, persistence and analytical considerations.

  • ISPRA (2024) – Rapporti su contaminazione PFAS in acque e suoli italiani.

Letteratura tecnico-scientifica

  • OECD (2022) – “Overview of PFAS and global use categories”.

  • ScienceDirect – articoli scientifici su persistenza, bioaccumulo e cinetica dei PFAS.

  • PubChem / NIST – dati su energia di legame C–F (~480 kJ/mol).

  • Reviews accademiche su cinetica PBPK dei PFAS (National Academies, 2023).

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